La vita che scorre dentro
Con Giovanni Guizzetti e i suoi pazienti in stato vegetativo. Anna, il suo caffè e l’impossibilità di dire «è irreversibile». Ecco perché «è assurdo condannare a morte Eluana Englaro»
Bergamo
Urla belluine giungono dal fondo del corridoio. «È Anna», sorride Giovanni Battista Guizzetti. «Vuole il caffè», spiega. Anna è una donna di mezza età e la sua casa è il reparto stati vegetativi del Centro Don Orione di Bergamo, di cui Guizzetti è responsabile. Entrata in stato vegetativo, ne è uscita e può oggi comunicare la sua volontà. «Anna, vuoi il caffè?», chiede il medico ponendo il dito sotto il pollice destro di Anna. Anna preme. È il suo modo per dire «sì». Poi Anna si scoccia un attimo perché la bevanda non arriva subito, perché Guizzetti s'attarda un attimo in spiegazioni con il malcapitato giornalista cui Anna dovrà, su insistenza del dottore, ripetere il suo sì. Anche questa volta alla domanda se davvero vuole bere tramite sondino, Anna risponderà con una pressione del pollice veloce e decisa. Seguono altre urla, come a dire, "me lo date o no questo caffè?". Un'infermiera s'avvicina alla donna, la bacia, l'abbraccia, le chiede se si sente pronta a diventare nonna - Anna preme - se è contenta - preme forte - se vuole il caffè - preme forte spazientita. Nelle altre stanze del reparto diretto da Guizzetti ci sono altre persone nella stessa condizione di Anna. Non tutte sono fortunate come lei che ha trovato questo modo semplice di comunicare. Alcune sono come addormentate e aprono gli occhi solo di tanto in tanto. «Questa donna, ad esempio - indica Guizzetti spalancando una delle porte delle camere -, non dà segni da circa dodici anni». Le pareti delle camere raccontano la vita precedente. Fotografie di figli, mariti, amici. Nella stanza di una signora, sgargianti quadri di fiori vivacizzano le pareti. Tanti sono arrivati qui dopo incidenti stradali, tentativi di suicidio, imperdonabili errori. Di una donna stesa tranquilla su un letto sotto una fotografia di bambini Guizzetti racconta la storia: «Partorì il figlio, ma poi, tornata a casa, ebbe un'emorragia. Giunta in ospedale le somministrarono azoto anziché ossigeno. Da allora è in stato vegetativo».
I ventiquattro ospiti di Guizzetti conducono una degenza regolata sui ritmi naturali della vita: sveglia, cambio dei vestiti, pulizia, tre pasti al giorno, giri in carrozzella per il parco che circonda il nosocomio. «Solo che tutto è molto più lento: un'ora per lavarli, un'ora per vestirli, un'ora e mezza, due, per dar loro da mangiare». Guizzetti se ne prende cura da dodici anni, «perché fui l'unico tra i miei colleghi ad accettare». Ma oggi è felice della sua scelta, «perché è un'esperienza umana e professionale che mi ha insegnato molto. Non c'è niente di scontato nel quotidiano: nemmeno bere un bicchiere d'acqua, nemmeno alzarsi dalla sedia. Anche in una condizione estrema c'è sempre qualcosa da fare: c'è da curare».
Metà delle diagnosi sono sbagliate
Per Guizzetti inguaribile non significa incurabile, «anche e soprattutto per persone in queste condizioni, come Terri Schiavo, come Eluana Englaro». La Corte d'Appello di Milano ha autorizzato la sospensione dell'idratazione e dell'alimentazione di questa ragazza in stato vegetativo da sedici anni. «Morirà di sete nel giro di due settimane», bisbiglia Guizzetti. «Per me la sentenza è assurda: la Corte afferma che lo stato di Eluana è irreversibile, ma la letteratura scientifica ci dice che è impossibile stabilire con certezza che uno stato vegetativo sia tale. Alcuni esperti mettono addirittura in dubbio che sia corretto parlare di "stato permanente" perché la diagosi che noi possiamo fare su questi pazienti è solo probabilistica». Guizzetti cita due studi: uno apparso sul British Medical Journal che indicava nell'altissima percentuale del 43 per cento i casi di diagnosi errate. «Indagare la coscienza - chiosa Guizzetti - non è come leggere un encefalogramma. Le possibilità di sbagliarsi sono molte e la reale condizione della persona può essere stabilita solo grazie a un'osservazione attenta e ripetuta nel tempo». è per questa ragione che Guizzetti afferma che «spesso i medici migliori sono i parenti che trascorrono molte ore con loro. Sono le madri, le mogli e i mariti che per primi imparano a interpretare i minimi segnali dei loro congiunti». Guizzetti crede siano vere le parole di quella suora delle Misericordie che ha in incarico Eluana e che ha detto che a volte le pare di vederla serena. Così come credeva alle parole dei genitori di Terri Schiavo che affermavano che la figlia sorridesse loro quando li vedeva. «Capita spesso che entri in una stanza e un parente mi dica che la persona in stato vegetativo sia contenta di vedermi. Non è solo un desiderio, è una realtà». Emblema è Anna. «è stato il marito ad accorgersi che lei sapeva comunicare col dito».
Il secondo studio che a Guizzetti preme sottolineare è quello di una task force statunitense che nel 1994 ha definito sul New England Journal of Medicine che la diagnosi di permanenza dello stato vegetativo è di tipo probabilistico. «Non vi è alcuna certezza che un paziente debba rimanere in questa condizione. Può essere, certo, ma sono capitati casi come quello di un operaio polacco risvegliatosi dopo 19 anni. Anche se, dal mio punto di vista, l'esito non è legato solo al parametro della guarigione: è l'igiene, l'alimentazione, la compagnia che si fa a queste persone. In una parola: la cura».
L'hanno resa una malata terminale
«Dico spesso alle mie infermiere che noi non ci troviamo di fronte a malati, ma a disabili gravissimi, che vivono una condizione di povertà esistenziale estrema. è una condizione che muta e che continua a mutare». La Corte che ha autorizzato il distacco del sondino intende presentare Eluana come una malata terminale. «L'hanno fatta diventare una malata terminale. E anche il dispositivo secondo cui la si vorrebbe far morire in un hospice è assurdo. Un'idea del genere stravolge il ruolo dell'ospedale e dell'hospice: da luogo di cura vengono fatti diventare dei luoghi di morte». Arrivano altre urla di gioia dal corridoio. Guizzetti deve andare. «è arrivato il marito di Anna. Le deve aver preparato un altro caffè».
Emanuele Boffi
http://www.tempi.it/interni/002128-la-vita-che-scorre-dentro
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